12 Ago VeneziAcustica – diario di un cacciatore di suoni
Ouverture
Tiziano Scarpa
Dunque, sono in Calle dei Boteri dietro al mercato del pesce di Rialto. Mi sto avvicinando al Canal Grande, oggi c’è veramente una luce particolare! È mezzogiorno, è domenica mattina, stanno suonando tutto le campane veneziane. Non c’e molta gente in giro (per fortuna!)…. Spero di riuscire a comunicarvi questa grande gioia di essere dentro a questo grande strumento musicale chiamato Venezia.
E, di conseguenza, quali sono le combinazioni segrete di questa macchina del tempo e della bellezza così potenti da trasformare non soltanto la percezione ma anche il modo di camminare, respirare, ascoltare, guardare ogni volta che ci si cade dentro?
Ovviamente non ci sono risposte univoche ma una moltitudine di indizi intrecciati, difficilmente collocabili in un museo perchè, per fortuna, ancora vivi. E il più sensibile, almeno per me, è il suono. Venezia, turisti permettendo, è una città acustica, quindi una città dell’ascolto. La morfologia stessa della città, che del suono è come una sorta di grande cassa di risonanza, sembra essere stata pensata più da maestri liutai che da architetti. Non parlo ovviamente solo del labirinto di rifrazioni acustiche di suoni concreti come l’acqua, i palazzi e via dicendo, ma dell’invenzione urbanistica, fra i tanti possibili esempi, del campiello come palcoscenico ideale dell’incontro e quindi del grande teatro delle voci, dei corpi, delle idee, e delle visioni di una cultura umanistica.
Queste tracce acustiche di umanità, dalla “ciacola” nel campiello ai suoni dell’ambiente e alle musiche che hanno attraversato e continuano ad attraversare questa capitale della musica, saranno i materiali con cui costruiremo sei nuovi appuntamenti radiofonici: sei come i sestieri di Venezia.
Mi chiamo Andrea Liberovici e faccio il compositore. VeneziAcustica – diario di un cacciatore di suoni, trasmissione che inizierà con la prossima puntata e di cui oggi presentiamo una sorta di “ouverture”, come si può desumere dal titolo, sarà tutta incentrata sull’aspetto acustico di questa città, un po’ come se entrassimo nella pancia di un enorme violoncello. E ci faremo aiutare in questa indagine da musicisti, musicologi, ma anche da ingegneri, architetti, artigiani, negozianti, sagrestani e via dicendo.
Questa “ouverture” è interamente dedicata allo scrittore veneziano Tiziano Scarpa e al suo romanzo Stabat Mater, vincitore del Premio Strega 2009, tutto ambientato nell’Ospitale della Pietà nel Sestriere di Castello dove pensavo, erroneamente, che Tiziano vivesse…
TIZIANO SCARPA
No, io non ho mai abitato a Castello, fuorché i primi giorni della mia vita. È successo questo: mia madre mi ha partorito nel reparto maternità dell’Ospedale Civile che all’epoca era quello che fu l’Ospedale della Pietà, quello che era stato il ricovero di bambini e bambine abbandonati o orfani nei secoli della Serenissima Repubblica. I bambini venivano avviati al lavoro all’Arsenale: costruivano le navi, le bambine cucivano broccati facevano il sapone e, una su dieci (circa un’ottantina), cantavano e suonavano nella Chiesa della Pietà. E quindi mia madre quando da piccolo passavamo da quelle parti mi diceva sempre: “Tu sei nato qui, io ti ho partorito qui. Dove le bambine suonavano dietro le grate sopra le balaustre le musiche di Vivaldi”. Perchè Vivaldi insegnò e compose lì. Quindi io, come tantissimi veneziani e veneziane nati prima della metà degli anni Sessanta del Novecento, sono stato partorito lì e ho cominciato la mia vita lì. E ho passato lì due o tre giorni…
ANDREA LIBEROVICI
Quindi ne hai un ricordo vivido!
T.S
Ho questo ricordo recente, bellissimo, che mia madre mi ha raccontato poco tempo fa. Mia madre un giorno mi fa: “Ma lo sai che io ero lì da sola, mi hanno tenuta un paio di giorni dopo il parto e tuo padre lavorava al porto di Venezia. Erano talmente infami le condizioni di lavoro che non gli diedero nemmeno due ore libere per venirmi a prendere all’ospedale, e venire a prendere anche te”. Allora successe che mio zio Ennio, che faceva il gondoliere e aveva anche lui sua moglie in ospedale disse: “Ma non ti preoccupare Maria vengo a prendervi io!”. Allora io come un re o come un doge, per meglio dire, ho fatto il mio primo viaggio per la città in gondola. Perchè mio zio è passato a prendere mia madre che era ancora debole, era pur sempre una puerpera…
A.L
Tu sei di maggio peraltro…
T.S
Io sono di maggio. E quindi sarà stato il 18 o il 19, due o tre giorni dopo la mia nascita mio zio Ennio passò in gondola nel canale vicino alla Calle della Pietà e fece salire a bordo me e mia madre. Quindi il tragitto immagino che sia stato, e non può essere diversamente, davanti a San Marco, sul bacino di fianco al Palazzo Ducale. Io così ho strabuzzato i miei occhi di neonato senza troppa capacità di riconoscimento gestaltico delle forme architettoniche, ma un guazzabuglio di luci, di onde, di riflessi, e di edifici comunque hanno costituito il mio imprinting della città. Immagino che sicuramente sia andato nel bacino di San Marco, abbia imboccato il Canal Grande, sia passato certamente sotto il Ponte dell’Accademia, per poi intrufolarsi nei canali secondari che ci hanno portati ai Frari, che è la mia insula, come si dice urbanisticamente a Venezia, il luogo in cui sono cresciuto. Però il mio esordio è stato a Castello con questo dogale trasbordo in gondola verso casa.
T.S
Questa notizia (fin da bambino) che mi diede mia madre: l’essere nato lì, ha seminato in me qualcosa. Io ho aperto gli occhi, fisicamente, nelle stesse stanze dove ragazzi e ragazze, bambini e bambine molto più sfortunati di me hanno cominciato la loro vita anagrafica. Io sono stato proprio partorito lì loro no, però sono stati abbandonati lì spesso con identità ignote.
A.L
Quand’è che è stato chiuso?
T.S
Non si può ancora dire che sia veramente chiuso perchè un servizio di culla segreta, secondo la legge che aiuta le partorienti in difficoltà, coloro che hanno bisogno di qualche periodo di supporto, ragazze madri, o coloro anche che vogliono abbandonare i loro bambini, continua ad esserci: un servizio di supporto per l’infanzia molto piccolo e ridotto. Ma di fatto lo smantellamento dopo il trauma napoleonico è stato il più drastico. E poi è andato svanendo nell’Ottocento. Immagina: tu sei nato nel posto dove altri non avevano famiglia, non sapevano di chi fossero figli, erano poverissimi, non avevano un nome, il nome era d’ufficio, gli veniva dato forse con il santo del giorno nel quale erano stati abbandonati. Non avevano nulla. Erano proprio gli ultimi evangelicamente parlando. E le ragazze ancora di più in quanto femmine, poverette, all’epoca. Io invece ho avuto una famiglia che mi ha voluto bene, mi ha consentito di realizzare i miei desideri, mi ha fatto studiare, pur essendo una famiglia modesta. Questa disparità, questa divaricazione di destino mi ha colpito fin da piccolo.
T.S
Io ho avuto un padre e una madre, un fratello, mi hanno amato… Loro erano rinchiusi alla Pietà. Poi da adulti potevano fare la loro vita.
A.L
Però, per suonare, comunque le ragazze erano dietro a delle grate, erano invisibili. Come funzionava?
T.S.
Funzionava così. Per dar da mangiare a quasi mille ragazzi e ragazze (pensa un po’!), dar loro da dormire, riscaldarli, dovevano far dei soldi. I ragazzi fornivano manovalanza alla Repubblica e quindi di fatto erano un investimento, diventavano maestranze qualificate. Le ragazze facevano broccati, vendevano paramenti sacri (i cosiddetti lavori femminili), cucivano e vendevano le coperture delle colonne delle chiese barocche o i paramenti sacerdotali, producevano il sapone. Una su dieci invece, e questo è molto interessante perchè è statistico, antropologicamente…uno su dieci di noi ha uno spiccato talento musicale; tutti noi bene o male, se educati, così come sappiamo leggere e scrivere sapremmo leggere musica e solfeggiare, ma in particolare uno su dieci ha un talento. E infatti una su dieci di queste ragazze (un’ottantina circa) fin da piccole le mettevano alla prova e scoprivano di essere intonate. E quindi in questa chiesetta (che non è quella attuale perchè quella vivaldiana è stata rifatta a metà Settecento), in una stanzetta di venti metri per dieci è cambiata la storia della musica, perchè lì queste ragazze suonavano dietro alle grate. Su delle balaustre sopraelevate perchè non sta bene andare in chiesa e sbirciare le ragazze quindi dovevano essere irriconoscibili, non visibili, vedevi delle sagome incantevoli. A che serviva tutto ciò? Ad attirare gente. Certo erano musiche liturgiche. La gente arrivava, ascoltava, rimaneva affascinata dalla bellezza, dalla perizia armonica di queste ragazze. “Che brave!” dicevano, “come le hanno educate bene, le hanno salvate da destini di miseria, di prostituzione, di degrado!”.
A.L.
E suonavano anche degli strumenti oltre a cantare…
T.S.
Certo, tu immagina cosa dovevano essere le orchestrine dell’epoca: erano mestieranti, mentre loro suonavano dalla mattina alla sera, cantavano dalla mattina alla sera. Erano orchestre dalla grandissima raffinatezza musicale-esecutiva. E questi istituti (ce n’erano quattro a Venezia) volutamente chiamarono i più grandi musicisti perchè c’era competizione in città fra questi quattro orfanotrofi musicali. La gente è attirata, per esempio, alla Pietà. Arrivava e diceva: “Ma io faccio beneficenza volentieri! Supporto questo istituto che ha salvato, che sa educare così bene queste bambine e bambini destinati altrimenti alla miseria, alla morte, alla malattia, alla prostituzione. Questo era il motivo. E Vivaldi fu chiamato lì proprio per questo. Sagacemente, perchè aveva venticinque anni anche questo ragazzo: aveva preso i voti o stava per prenderli, era figlio di un barbiere, di Giobatta Vivaldi, (nel Settecento ci sono molti barbieri violinisti non so se per il gesto dell’archetto…), sapeva suonare: era bravissimo, serio, sacerdote, figlio di un violinista che suonava nella cappella dogale di San Marco, quindi con tutte le referenze a posto! Benché giovanissimo i governatori della Pietà hanno la vista lunga, capiscono che questo è bravissimo. E quindi comincia così Vivaldi: come didatta di violino, di viola d’amore, e poi gli davano anche il compito di comprare strumenti. Perchè c’è anche questo da dire: questi istituti avevano una gamma timbrica molto più ampia delle altre orchestre perchè avevano strumenti ereditati dai secoli passati (il salterio, certe strane trombe, ecc) e acquisivano strumenti nuovissimi. Era come l’IRCAM di Parigi negli anni Sessanta, potevi avere a disposizione possibilità sonore, timbriche che altri non avevano. Infatti Vivaldi, appena viene inventato un prototipo di clarinetto: il “clarin”, subito si innamora di questo nuovo suono che assomiglia alla voce umana e scrive subito delle composizioni. I musicologi hanno notato che a queste composizioni manca il si naturale perchè il “clarin”, futuro clarinetto, era ancora imperfetto ma il suo timbro era talmente affascinante che Vivaldi subito scrive per clarinetto saltando la nota che manca. Cosa ci dice questo episodio? Che c’era anche uno sperimentalismo, c’era la possibilità di ascoltare suoni inauditi, strumenti mai sentiti prima…
A.L
Di fare ricerca.
T.S
Di fare ricerca. Questo attirava pubblico e, in una specie di welfare dell’ancien regime diremmo, era virtuosamente vantaggioso per il finanziamento di questi istituti, per dare da mangiare, da vestire e da riscaldare a queste ragazze e a questi ragazzi: a questo serviva. Era cultura con la quale si mangiava, per far risuonare una frase che in questi anni si è sentita dire.
A.L.
E che continua a rimbombare in realtà!
Nel mio ruolo di “cacciatore di suoni” in giro per le calli veneziane cammino, tendenzialmente, con un registratore sempre acceso e, come sto facendo ora, parlo, cammino, e registro!
Ora, col fatto che quasi tutti parlano a un telefonino camminando, nessuno per fortuna fa più caso alle mie promenade parlanti… Però in questo caso specifico vorrei leggervi, se non mi cade il libro, due minuscoli frammenti da “Stabat Mater” di Tiziano Scarpa particolarmente in tema con la nostra trasmissione.
«Presto orecchio a un suono e lo fodero con la mia immaginazione, gli metto intorno una massa, un corpo, un volto, uno scopo.
Il rumore che esce dalle cose è come il loro scopo, è la loro volontà che li oltrepassa e li rende più grandi, si espande nell’aria.»
(Tiziano Scarpa, Stabat Mater, Einaudi, 2008, p.53)
A.L
L’acustica come produttrice di immagini in qualche modo. Io ho sempre pensato che fosse una Grande Madre delle immagini
T.S
L’udito è anche il sintomo della libertà del nostro spirito. Noi possiamo concentrarci, far finta di non ascoltare le cose, oppure possiamo indirizzare la nostra attenzione selezionando fra fenomeni acustici che accadono in questo momento. Quindi chi ci ascolta può decidere di fare attenzione a quello che stiamo dicendo oppure distogliere l’attenzione dalle nostre parole che escono dalla radio e ascoltare il rumore del traffico fuori dalla finestra o lo scalpiccio di qualcuno che passa in cucina. Noi possiamo dirigere la nostra attenzione selezionando i fenomeni acustici che ci interessano. Questo per Sant’Agostino è la prova che la nostra anima è libera, e lo trovo meraviglioso perchè passa attraverso i sensi questa esperienza di libertà, passa attraverso l’udito. In questo senso Venezia ti aiuta perchè non ti impone dei rumori, tu puoi selezionarli in uno sfondo che spesso non è invadente. Poi la sera, nei giardini (ecco fra poco), comincerà a cantare l’assiolo, che è il più piccolo delle Strigidi, è una piccola civetta molto carina. Alcuni lo chiamano il chiù. Se non lo sai pensi: “ma chi è che non ha ancora staccato questo allarme!”. Perchè è talmente regolare che sembra che qualcuno abbia fatto scattare per sbaglio un allarme antifurto.
In Stabat Mater la mia protagonista Cecilia a un certo punto nelle sue sortite in barca (che le fanno fare, bontà loro, i governatori della Pietà, i suoi educatori: mettono in barca queste ragazze e le fanno fare delle gite, un po’ per tirare il fiato, per farle uscire da questo posto) invece di guardare la città chiude gli occhi e attraversa la città ascoltandola. E la ascolta dall’acqua quindi attraversa i canali, sente il risuonare diverso della barca quando passa sotto l’arcata di un ponte, sente sulle rive i commenti al loro passaggio (perchè queste ragazze che escono dall’orfanotrofio della Pietà sono comunque degli essere strani per i cittadini. Sono una categoria particolare di ragazze, dalle origini disdicevoli però anche rispettate allo stesso tempo). Ci sono a volte, dice lei, dei commenti triviali al loro passaggio, delle malignità, o dei segni di ammirazione. E poi, senza descrivere visivamente il paesaggio che percepisce, lo descrive acusticamente, e si accorge di essere uscita dai piccoli canali perchè il suono si è allargato. Sente di essere nella laguna, sente che le acque si sono distese, espanse: si sono, per così dire, accasciate orizzontalmente dappertutto e sente sopra di sé l’incrociarsi delle traiettorie delle rondini. Cerca di distinguerle una a una che attraversano il cielo e poi fa un esercizio di complessità di ascolto: cerca di percepirle tutte complessivamente; questa matassa di suono rigato dalle rondini in cielo lei cerca di assorbirlo con questa attenzione spasmodica, ad occhi chiusi. Ho cercato (anche perchè disperatamente cerco di trovare dei modi diversi di parlare sempre dello stesso argomento, cioè Venezia) di aggredirlo da un’altra parte, di descriverlo acusticamente quella volta lì. E l’ho fatto fare attraverso la mediazione di Cecilia, cioè di una musicista, di una suonatrice giovane ma sopraffina di violino.
A.L
Siamo, come potrete udire, di nuovo on the road: cani, piccioni, passi, padroni di cani che gli corrono dietro… La nostra ouverture al ciclo di trasmissioni VeneziAcustica – diario di un cacciatore di suoni termina qui, in Campo San Cassian. Ringrazio il nostro ospite Tiziano Scarpa, la mia co-curatrice: la musicologa Giada Viviani, e potete trovare tutte informazioni sulle musiche trasmesse (in questo caso tutto Vivaldi diretto da Francesco Fanna e Rinaldo Alessandrini), riascoltare e scaricare la puntata dal sito di Radio 3 o con l’app RaiPlay Radio a questo link: VeneziAcustica Overture
Tanti cari saluti da Venezia e alla prossima da Andrea Liberovici! Ciao!
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