I perché di questo nuovo Macbeth
I perché di questo nuovo Macbeth sono numerosi. A questo punto del percorso ho sentito l’esigenza di applicare la “tecnica” che comprende l’uso dei nuovi mezzi d’informatica musicale, spazializzazione del suono e quant’altro, al servizio di una grande storia e forse una delle più, per così dire, musicali, del grande Bardo, non per puro esercizio di stile, ma perché mi sembra che la visione dell’interpretazione del testo possa portare un ulteriore contributo alla lettura di un grande classico. Macbeth è “un’ombra, che cammina”, incastrata in un mondo che ”significa niente”. È paradossalmente l’unico personaggio che nel nostro spettacolo non parla in musica, ma lotta con essa. Dalla musica Macbeth sarà spinto e condotto alla tragedia rimanendo però fino alla fine uomo saldamente ancorato all’esile filo di una ragione parlata. Il suo essere incastrato in una musica che è il suo stesso destino ne determinerà l’umanità.
Andrea Liberovici – 2016

Allargare al massimo l’orizzonte dei linguaggi, puntare su frizioni e choc, speculare sopra accoppiamenti di forme e di toni assolutamente non giudiziosi, è per me esercizio antico e preciso progetto di poetica. Il teatro, che è appunto, per eccellenza, “travestimento”, mi pare che invochi siffatte manipolazioni, in vista di una piena sregolatezza inventiva, anarchicamente ben temperata. E questo vale per la parola, per il suono, per l’immagine, per il gesto. Del resto, si sa, Shakespeare insegna.
Edoardo Sanguineti
Festival di Spoleto 1998