VeneziAcustica – diario di un cacciatore di suoni. Puntata N°1- Cannaregio

VeneziAcustica – diario di un cacciatore di suoni

Puntata N°1- Cannaregio

{ Suoni elettroacustici da Venezia }

Zosterisessor ophiocephalus….

Zosterisessor ophiocephalus!

In italiano si direbbe ghiozzo, in veneziano: .

Mi ricordo, quando ero piccolino, che sulle fondamenta veneziane in certi periodi dell’anno c’erano decine di pescatori che pescavano i gò. E che, ovviamente, ci scherzavano su perchè “gò”, in veneziano, vuol dire anche “ho”. Per cui il refrain che si sentiva nell’aria era spesso:

«ti gà ciapà i gò?», «sì go i gò!».

«Ti ga i gò?», «go i gò!».

Ovvero: «hai preso i gò?», «sì ho preso i gò».

Mi chiamo Andrea Liberovici, faccio il compositore, e questo ciclo di puntate che si apre oggi: VeneziaAcustica – diario di un cacciatore di suoni comincia con questa sorta di omaggio ai pesci, che in laguna, causa moti ondosi, grandi navi, e via dicendo, stanno in qualche modo sparendo. Quindi, diciamo, una sorta di Spoon River ittica!

Siamo a Cannaregio: il primo sestiere che si incontra arrivando dalla stazione ferroviaria, quindi molto conosciuto, e il percorso di queste puntate (sei come i sestieri di Venezia) parte proprio da qui: sestiere in cui hanno vissuto celebri compositori (ma in realtà in ogni sestiere hanno vissuto celebri compositori) e dove attualmente vive Claudio Ambrosini, compositore veneziano ‘doc’, Leone d’oro alla Biennale Musica 2007, e di cui, nel corso della puntata, sentiremo la sua musica a parte un paio di eccezioni.

Sto salendo le scale del maestro Ambrosini! E in qualità di “cacciatore di suoni” sto registrando senza farmi vedere…

ANDREA LIBEROVICI

Quello su cui mi interessava riflettere con te è questo. Essendo tornato da poco a stare in questa città sono molto affascinato dai compositori che, invece, ci continuano a vivere e che ci hanno vissuto da sempre…

CLAUDIO AMBROSINI

Per farti capire: quando vinsi il famoso Prix de Rome nell’85 [primo compositore non francese nella storia di questo premio, ndr] tutti i compositori francesi miei amici come Gérard Grisey mi dissero: «dunque adesso vieni a Parigi!», considerando che comunque tutti tendono ad andare a Parigi e che avrei avuto certamente una qualche forma di inserimento nel mondo musicale francese. Invece ho scelto di restare qui perchè Venezia aveva perso Bruno Maderna (giovanissimo per la musica, a 53 anni) e Gigi (anche lui in fin dei conti giovane, a sessantasei). Ho pensato quindi che sulla nave qualcuno dovesse restare.

Io sono molto amico dei De Luigi, i figli di Mario De Luigi [importante pittore del Novecento italiano legato al movimento spazialista, ndr], per via della sua amicizia con mio padre. Uno di loro, Ludovico De Luigi, è se vogliamo uno degli ultimi vedutisti veneziani e ritrae una Venezia apocalittica, ridotta in rovine, sommersa. Un giorno mi chiama per chiedermi di fare un lavoro di sottofondo musicale ad una sua importante mostra che avrebbe dovuto realizzare a Roma, a Palazzo Braschi. Oggi si parla molto di inquinamento e di moto ondoso ma io, che all’epoca avevo una barchetta a remi, avevo già un a certa confidenza con queste parole. Così, partendo dal concetto che uno strumento musicale è un oggetto in vibrazione, ho pensato di registrare per ventiquattro ore le vibrazioni di un palazzo veneziano. E quale palazzo può rappresentare meglio la città se non quello del Comune, sul Canal Grande? Il caso volle che nel palazzo difronte avesse lo studio il famoso designer, ora conosciuto in tutto il mondo, Gaetano Pesce, di cui ero amico, e che aveva un pianoterra affacciato direttamente sul Canal Grande. Allora mi sono fatto prestare dei preziosissimi microfoni con l’intento di registrare per ventiquattro ore le vibrazioni, sotto l’acqua del canale, difronte al Comune.

Restava però il problema di proteggere questi microfoni e all’epoca non esistevano quelli subacquei. Così, dopo lunghe meditazioni, l’unica soluzione che ho trovato è stata quella di proteggerli con dei profilattici! Che naturalmente ho cercato con cura perché usavo dei microfoni Sennheiser piuttosto lunghi e bisognava andare anche oltre la lunghezza per poterli chiudere con il nastro adesivo.

Quindi giravo per le farmacie chiedendo esattamente quali fossero le misure per trovare i modelli più lunghi…Quando l’ho raccontato ad un mio amico giornalista questi ha pensato subito di farne un articolo che venne pubblicato su ABC: un giornale scandalistico, legato al mondo anarchico-radicale, che faceva politica con un tocco di gossip e di ‘playboy’. Così un giorno che mi trovavo dal barbiere ho aperto un giornale e ho visto questo articolo, a tutta pagina, dal titolo Il terrore dei farmacisti: un compositore si aggira per la città a registrare con dei sistemi molto strani…

Alla fine il risultato di questo lavoro lo abbiamo eseguito a Roma con 24 cassette.

A.L

Ecco, come hai realizzato le ventiquattro ore?

Perchè non esisteva ancora l’“editing” digitale…

C.A

Ho registrato in continuazione su bobina e abbiamo trasferito il tutto su ventiquattro cassette da un’ora, quelle “metti e togli”. Dopo di che si sarebbe trattato della povera addetta del museo che doveva cambiare ogni ora la bobina, giorno e notte.  Si trattava più che altro di un’opera concettuale. Comunque c’è stata l’inaugurazione con i giornalisti dove abbiamo fatto ascoltare questo lavoro. Naturalmente sott’acqua il suono di base che si ottiene è il tipico effetto sottomarino: una sorta di sottofondo cupo. L’unica cosa che restava da sentire era una “sinfonia” di motori, un effetto che sapeva molto di russo-futurismo… La cosa bella è che a Venezia, a parte il moto ondoso delle barche, c’è un ritmo molto preciso dato dagli orari dei vaporetti. Durante il giorno passano circa ogni dieci minuti ma poi si diradano: da una certo momento della notte ogni venti minuti e poi ogni ora. Così ascoltando le cassette potevi sentire, nei momenti di piena notte, quasi nulla per cinquantanove minuti, se non un lungo pedale, finché non giungeva il nuovo vaporetto… In questo modo ho realizzato le ventiquattro ore acustiche di un palazzo.

A.L

E con una scorta notevole di profilattici!

C.A

Sì, beh, ne fanno tutti esperienza…Un giorno mi sono accorto che nella fessura di un muro c’era una piantina  microscopica dal fiore grande quanto un quarto di unghia. Facendo un’indagine venni a sapere che si chiama cimbalaria psicopompa e si tratta di una piantina parassita, di cui solitamente non ti accorgi, che vive sui muri (perchè credo abbia bisogno della calce dell’intonaco) e che fa un fiorellino bianco-azzurro bellissimo! Quando ho saputo, da un’amica specialista, questo nome così bello mi è subito venuta l’idea di fare un pezzo: già pensavo ai cimbali… e poi psico-pompa: “che accompagna le anime” mi verrebbe da dire… Allora ho cominciato a guardare con attenzione tutti i percorsi in giro per Venezia e ho individuato una dozzina di piante spontanee che nascono nella fessura di due marmi, sui gradini di un ponte, e che ho tradotto in una dozzina di pezzi per violino e pianoforte dai nomi suggestivi.

A.L

Un piccolo catalogo botanico

C.A

Sì, c’è il trifoglio acquatico, il tasso barbasso… Sono tutti dei personaggi.

A.L.

Il tasso barbasso poi è Commedia dell’Arte pura!

C.A

Bravissimo! Questi pezzi nascono dall’utopia di tradurre la natura di un oggetto in suono. È un lavoro di disciplina come può essere lo Yoga: prendere una cosa, studiarla, osservarla da diversi punti di vista, e ripensarla in un’altra forma. Ed è la disciplina del compositore. Partendo da uno studio sulle “erbette” si realizza una sinfonia che è tutta un’altra dimensione, come può esserlo un’acquerello o un’affresco… Ne ho fatti diversi lavori del genere tra cui un “algario”, perchè uno dei grandi problemi di Venezia è che le alghe sono adesso sottoposte ad un ambiente che le fa marcire. Però se le vedi sul fondo sono dei fiori meravigliosi: rosa, gialle, ecc.

A.L

Non sapevo avessero anche dei colori.

C.A

Certo! Noi le vediamo galleggiare solo quando sono morte marcite ma se vai a vederle nei momenti di fioritura hanno dei colori bellissimi!

A.L

E questo ciclo è fatto per quale organico?

C.A

È un trio di viola, percussione e clarinetto.

A.L

Dal ciclo per pianoforte e violino di Claudio Ambrosini abbiamo ascoltato Erbario spontaneo veneziano. Il primo brano si intitola Fiorella di barena, dove “barena” è un terreno tipicamente lagunare che periodicamente viene sommerso dalle maree e sul quale, più o meno tra giugno e settembre, fiorisce appunto questa pianta. Poi c’è il Finocchio di mare, che va benissimo quando si ha una cattiva digestione, conosciuto anche come “burcio”, “erba di San Pietro”, “frangisasso” e “bacicci”. Altro titolo di una di queste miniature per pianoforte e violino di Claudio Ambrosini è Calcatreppola e Salicornia, di cui non ho trovato informazioni. L’ultimo brano che stiamo per ascoltare è Cimbalaria psicopompa, che è una pianta rampicante dai fiori molto colorati appartenente alla famiglia delle Plantiginaceae.

percorrevo una volta a tarda notte il canale immerso nell’oscurità, sorse improvvisamente la luna ed investì con la sua luce i palazzi indescrivibili e il mio gondoliere che muoveva il remo lentamente, dritto sull’alta poppa della gondola. Improvvisamente salì dal profondo del suo petto una specie di lamento che si gonfiò come un grido di un animale e finalmente prese forma […] nella semplice esclamazione musicale: “Venezia!”.

Questo era uno dei celebri vicini di casa del maestro Ambrosini ovvero Richard Wagner!

Franco Pianon, che stiamo per incontrare ora, oltre ad essere un ingegnere di grandissima esperienza e fama, è anche un profondo conoscitore dello specifico veneziano. Quindi del rapporto con materiali come acqua (ovviamente), fango, legno, mattoni, e l’esperienza che ha accumulato in questa città è vasta e oggettivamente molto preziosa; basti pensare alla ristrutturazione del grande Molino Stucky o della Chiesa di San Lorenzo e degli innumerevoli palazzi veneziani sul Canal Grande.

La domanda è: “come fa a stare in piedi una città così fragile?”. Perchè è impressionante come dia una sensazione di grande fragilità ma essendo al contempo una delle città più antiche ancora viva e vegeta. Quindi sicuramente c’è un percorso di restauro continuo del tutto però c’è anche qualcos’altro…

FRANCO PIANON

Venezia è stata costruita da maestranze molto preparate e con grande sensibilità verso un territorio estremamente difficile, se pensiamo che il terreno di fondazione degli immobili è formato da limo argilloso, sabbia, e uno strato (di profondità variabile dalla terra ferma al Lido) di caranto:  un’argilla un tempo emersa dall’acqua che il sole ha seccato e trasformato in uno strato di portanza maggiore rispetto al limo o all’argilla. Le fondazioni delle case non sono appoggiate su questo caranto ma è comunque uno strato che fa quasi da barriera con quello sottostante. La maestria e la bravura dei veneziani è stata quella di capire come aumentare la portata del terreno che per la sua costituzione, come tutti i terreni pieni d’acqua, una volta compresso si deforma moltissimo: l’acqua esce pian piano da tutti i pori e il terreno si comprime, diminuisce di volume, facendosi seguire dal peso che c’è sopra. I veneziani però avevano imparato a fare una cosa interessantissima per le case e gli immobili di una certa dimensione: compattavano il terreno con dei paletti di legno da 3-3,5 metri che infiggevano uno vicino all’altro. In questo modo davano la possibilità all’argilla sottostante di espellere l’acqua e al terreno di aumentare la portata. Questa serie di pali, e pensiamo ad esempio alle migliaia che si trovano sotto le due sponde del Ponte di Rialto, che ha un peso e una spinta notevolissimi pur essendo ad arco non molto ribassato, hanno dato la possibilità a questo materiale di comprimersi meno una volta caricato. Su queste fondazioni di legno poi innalzavano i muri che quindi erano per forza soggetti a cedimenti perchè un po’ i pali svolgevano la loro funzione ma poi il peso continuava l’azione di compressione sulla parte di terreno argilloso non ancora compressa. Allora cosa facevano i nostri bravissimi veneziani (certamente più bravi di noi)? Non attaccavano i muri uno all’altro con delle ammorsature ma li lasciavano liberi. Anche perchè, c’è da dire, non costruivano come oggi in tempi molto brevi: si prendevano anche cinquanta o sessant’anni per costruire un palazzo. Lasciavano muovere questi muri e poi li collegavano uno all’altro con dei tiranti metallici. Ed ecco la bellezza di queste costruzioni! Se sono ancora in piedi e in ottimo stato dal 1300-1400 vuol dire che è stata trovata la tecnica giusta per costruirle.

A.L

Infatti era questa la curiosità: appare così fragile a un primo sguardo però in realtà resiste molto più di altre città che abbiamo costruito anche in tempi recenti.

F.P

Sì, perchè poi sapevano anche costruire con una tecnica, che adesso noi seguiamo con tutte le normative antisismiche: “controventare”.

A.L

“Controventare” cosa vuol dire esattamente?

F.P.

Significa dare la possibilità di scaricare le forza orizzontali su altre strutture. Quindi in una tessitura rettangolare o quadrata, con dei muri ortogonali fra loro, in caso di spinte orizzontali notevoli, come terremoti, le sue pareti scaricano sulle altre ortogonali in modo tale da creare sicurezza. E in questo modo Venezia ha resistito a terremoti anche notevoli nella storia: nel Trecento e nel Seicento sono caduti alcuni campanili. Mi sono dimenticato prima di dire una cosa fondamentale: i paletti di costipamento, di fondazione, sotto l’argilla non invecchiano! Io ho avuto la grande fortuna e occasione di poter estrarre un palo che apparteneva a una casa del 1300 ed era bianco come appena scortecciato! Avendo anche collaborato con Insula nello scavo dei rii ricordo che abbiamo trovato spesso dei paletti di fondazione che uscivano dal fango, ed è proprio in quelle parti non sommerse che comincia il degrado: se rimangono senza ossigeno sono come appena piantati. Ed è interessante perchè molti si chiedono come fanno i pali a non marcire nell’acqua, ma se li osserviamo bene vediamo che la zona di degrado è quella del bagnasciuga.

Ho la fortuna di abitare in una casa del 1400 e mi stupisco sempre di abitare in un luogo che ha settecento anni! Non siamo più abituati a pensare ad una durata degli edifici così lunga. Ed è questa la bellezza di Venezia, come anche di altri centri storici in giro per l’Italia. Ma è stupefacente che in un ambiente così difficile con un terreno così poco adatto a sopportare carichi ci siano questi bellissimi edifici ancora in piedi, con qualche crepa ma certamente non di quelle che suscitano lo stesso timore che per una casa in calcestruzzo, lì sì che se si fessura una trave c’è il pericolo che crolli, qui se c’è qualche fessura non si stupisce più nessuno. Infatti la difficoltà nel restauro è che spesso ci si trova a gestire dei problemi per cui è necessaria una certa sensibilità: non è possibile arrivare alla sicurezza totale come in una costruzione nuova, bisogna quindi capire fino a che punto si può intervenire senza compromettere la stabilità dell’edificio.

Il “com’era dov’era” è una soluzione tipicamente veneziana (vedi il campanile di San Marco o tante altre cose poi ricostruite come La Fenicie) che ha dei pregi e dei difetti. Io ad esempio non avrei ricostruito il campanile di San Marco.

A.L

Ah no? Niente “parón de casa”?

F.P

Niente “parón de casa”! Anche se ha una storia importante perchè era una torre di avvistamento una volta…

Io molto spesso, e questo lo dico sorridendo, quando entro da Bocca di Piazza nascondo il campanile con la mano per cercare di intuire la vera dimensione della piazza, e devo dire che mi piacerebbe molto vederla così perchè cambierebbe proprio la sua dimensione. E poi con quei due gioielli che abbiamo: la Basilica e il Palazzo Ducale c’è questo campanile che…

A.L

In teatro si direbbe che “impalla”, che li copre.

F.P

Esatto, così spesso lo cancello con la mano e mi godo la piazza.

A.L

Non so se i veneziani sarebbero molto d’accordo su questo…

F.P

No, credo che mi “sbranerebbero”!

A.L

Vi sto per presentare Roberto Ellero, critico cinematografico conosciuto a Venezia come l’uomo che ha permesso ci siano ancora dei cinema in città, e questo è assolutamente vero!

«Roberto Ellero buongiorno! Noi siamo a Cannaregio che film ci proponi?»

ROBERTO ELLERO

«Siamo alla fine di Cannaregio, verso Castello, in Campiello dei Miracoli. Qui, nel film Pane e Tulipani (1999 di Silvio Soldini), dietro la chiesa, difronte al Campo di Santa Maria Nuova c’è la bottega di Fermo: un anziano fioraio anarchico (in veneziano si direbbe “fiorista”!), interpretato da un grandissimo Felice Andreasi! A un certo punto passa per il campiello Rosalba, la casalinga pescarese in fuga dalla sua famiglia e approdata a Venezia, e vede un cartello con scritto “Cercasi aiutante”. Lei, che ormai aveva deciso di vivere questa esperienza veneziana, decide di entrare e di presentarsi facendo così la conoscenza di questo anarchico fiorista, il quale rimane attratto dalla sua presenza perchè gli ricorda Vera Zasulič. Rosalba non sa chi sia questa donna, ma neanche lo spettatore lo sa. Se però fai una piccola ricerca su internet scopri che è stata una libertaria russa autrice di un attentato allo spietato Trepov, capo di polizia di San Pietroburgo, il 24 gennaio 1878. Si è trattato di una ‘pistolettata’ senza esiti mortali ma la cosa interessante fu che l’anno dopo, con il processo che farà scandalo, Vera Zasulič venne assolta!Perchè quel poliziotto era talmente crudele che, in fondo, persino per il giudice si era meritato l’attentato. Il film prevede poi che Rosalba si integri in questa Venezia “favolistica” e trovi il suo amore: un cameriere islandese interpretato da Bruno Ganz (che salutiamo perchè è recentemente scomparso) sempre un po’ tentato dal suicidio che parla un italiano forbito preso dall’Ariosto. Il finale, ambientato in Campiello dei Miracoli, è la festa dell’amore che sboccia a Venezia tra Rosalba e Fernando, questo cameriere islandese, in quel negozio di fiori che quindi è strategico, si direbbe, per l’economia del film.»

A.L

«Mille grazie e alla prossima!»

E siamo arrivati ai credits! Dunque, sulle note delle musiche di Pane e Tulipani composte da Giovanni Venosta ringrazio i nostri ospiti di questa prima puntata. Ringrazio sentitamente la mia co-curatrice del programma: la musicologa Giada Viviani, poi i giovanissimi “cacciatori di suoni” dell’Associazione Culturale VERV Venice Electroacoustic Rendez-Vous, diplomati nella Scuola di Musica elettronica coordinata da Paolo Zavagna del Conservatorio “Benedetto Marcello”, con cui stanno collaborando per il sito http://www.venicesoundmap.eu che vi consiglio di visitare, da cui si possono scaricare ma anche inserire suoni veneziani (cosa che personalmente ho fatto per questa trasmissione).

Potete trovare le informazioni sulle musiche trasmesse, riascoltare e scaricare tutte le puntate dal sito di Radio 3 a questo link https://bit.ly/4dBovfE

Tanti cari saluti da Venezia e alla prossima da Andrea Liberovici! Ciao!

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